Qualcuno di voi sa già che ora mi trovo in Italia, ma le cose da raccontare sulla mia esperienza in Madagascar sono ancora tante, quindi continuo a scrivere.
Da gennaio scriverò di nuovo dal Madagascar, partirò per almeno due anni per lavorare ad un progetto, tutto ancora da mettere in piedi, rivolto ai contadini d’Antanifisaka.
Sarà una bella sfida, ma di questo racconterò prossimamente.
Oggi voglio farvi leggere la visione e l’emozione di Sonia, una cara amica che è venuta a trovarmi partecipando al CICIL organizzato dal Granello di Senape, attraverso le sue parole.
“La prima volta che siamo state ad Antanifisaka, in occasione delle attività programmate per il CICL 2011 Madagascar, ero molto emozionata.
Ne avevo sentito parlare da Sandra, di questo villaggio rurale dove non c’è né luce, né acqua corrente, né bagni in casa… però… a Sandra veniva una luce particolare negli occhi quando pronunciava quel “però”.
Ed il discorso, comunque, si interrompeva lì, perché lei non voleva svelare troppo, del luogo, ma soprattutto delle emozioni che lei stessa aveva vissuto e che, sperava, avremmo vissuto anche noi.
La mancanza di acqua, luce, etc., non mi preoccupava minimamente: avendo fatto già alcune esperienze in Africa, questo era senza dubbio il problema minore.
Ero più concentrata sulle emozioni, anche perché, alla minima cosa che mi colpisce il cuore, mi sciolgo in pianti di commozione! Che dire? Sono fatta così!
Quando partiamo per Antanifisaka è già giorno grande, pur essendo ancora mattina presto, circa le 6.30.
Ad aspettarci, un piccolo taxi-brousse – appositamente noleggiato per noi, dal momento che dobbiamo portare tutto ciò che ci servirà per il nostro vitto e alloggio, oltre al materiale per i lavori da fare, previsti nel programma del CICL: pavimentare la mensa dei bambini, aggiustare i tavoli della stessa mensa, cambiando le tovaglie, etc.
Appena fuori Tana, con il suo traffico caotico – reso ancora più lento dai tanti carri trainati dagli zebù, usati ancora come preferenziale mezzo di trasporto, sia per le merci, che per le persone, da chi non ha altra possibilità – e la sua strada asfaltata (ma che buche!), ci immettiamo sulla via diretta ad Antanifisaka.
L’asfalto diventa a mano a mano sempre più raro, fino a essere un ricordo… Ad esso si sostituisce una bellissima terra rossa, resa asciutta della consistenza della sabbia, dalla scarsità di pioggia e dalla frequenza dei passaggi di auto, bici, piedi… E della polvere sollevata dalle auto che transitano vogliamo parlarne?
Sandra, ormai esperta, si copre testa e viso con foulard e scarpette, e così fanno anche alcune di noi.
La polvere entra da ogni minimo spiraglio del pulmino e, con i raggi del sole che penetrano dai finestrini, si vedono queste migliaia di particelle sospese nell’aria: ci entrano nel naso, si posano addosso a noi ed ai nostri bagagli, e tutti e tutto cambia colore, o meglio diventiamo tutti di un pallido colore rossiccio!
Il tragitto è, però, bellissimo: ogni tanto incontriamo piccoli villaggi, costruiti con mattoncini rossi come la strada, la gente è intenta alle proprie attività, quasi sempre all’aperto.
E fuori dai piccoli villaggi, il contrasto della terra rossa con il verde della vegetazione, lascia letteralmente a bocca aperta. Mmm! Meglio chiuderla la bocca, altrimenti entra la polvere!
La strada, però, diventa sempre meno praticabile: grossi solchi longitudinali e buche profonde ci costringono ad andare pianissimo e a fare uno slalom a destra e a sinistra per evitare di finire dentro le “voragini” che si presentano davanti agli occhi…. Il nostro sobbalzare sui sedili al ritmo delle buche ci riempie di ilarità.
Intanto notiamo che la strada, così tanto polverosa, ha finito per colorare anche le piante e i fiori che si trovano ai lati della stessa, dando al paesaggio un aspetto un po’ surreale.
Ad un certo punto, la strada comincia a degradare verso il fiume e sotto di noi si apre una vallata bellissima: un ampio pianoro coltivato in tanti piccoli appezzamenti di terra, così ordinati da sembrare giardini.
Qua e là gli zebù che trainano aratri in legno, semplici ed improvvisati, ma estremamente efficienti, e persone riconoscibili, dalla nostra posizione, solo per i tipici cappelli malgasci in rafia.
Che pace trasmette questo “quadro”! Prima lacrimuccia!
Nel frattempo arriviamo al fiume, il nostro capolinea. Qui dobbiamo scaricare il pulmino di tutto il materiale portato e dei nostri bagagli perché… ad Antanifisaka si giunge solo a piedi!
Quindi guadiamo il fiume a bordo di una piroga, stretta e lunga, sulla quale gli abitanti del posto caricano anche le rare moto e bici per i loro spostamenti (arrivano fino a Tana con la bici!, percorrendo, quasi ogni giorno circa 30 km ad andare ed altrettanti per tornare, con le strade in quelle condizioni e con le bici stesse stracariche di merce da vendere al mercato!).
Sull’altra sponda del fiume c’è già Paul che ci aspetta, salutandoci con il cappello in mano.
Grande Paul!
Ad Antanifisaka alloggeremo a casa sua, dove c’è anche la mensa dei bambini e gli spazi per le attività del G.d.S. Paul ha predisposto tutto per il trasporto del materiale e dei nostri bagagli fino a destinazione. Infatti, ecco arrivare, col loro passo lento e cadenzato, gli zebù che trainano i due carri “portabagagli”. Iniziamo così il nostro tragitto a piedi. Non è lungo, circa 20 minuti, ma un po’ in salita la parte iniziale. Non importa… il panorama che ci circonda è talmente bello da far dimenticare anche la minima fatica!
Per un po’ seguiamo dall’alto, con lo sguardo, il corso del fiume, le sue anse, la gente che prende l’acqua per irrigare i propri campi e gli orti, poi ci inoltriamo tra la vegetazione, camminiamo lungo le risaie ed eccoci ad Antanifisaka: piccole case di terra rossa con il tetto di rami.
Al nostro passare la gente arresta il proprio lavoro solo per salutarci e regalarci un sorriso. Che bello!
E quando oltrepassiamo il cancello della casa di Paul, ecco la prima sorpresa: i bambini di Antanifisaka che ci aspettano! E subito iniziano i giochi! Girotondo, “1,2,3 stella!”, palla prigioniera, e noi, “adulte”, a giocare come bambine sotto lo sguardo attonito dei bambini stessi.
“Queste sono veramente pazze!”, avranno pensato.
Il tempo ad Antanifisaka trascorre alternando momenti di lavoro (piccola falegnameria, il cambio delle tovaglie ai tavoli della mensa dei bambini, visita alle famiglie del posto assistite dal G.d.S., per conoscerle meglio e per sapere ciò di cui possono avere bisogno, lavoro nel “giardino dei bambini”, piccolo orto, lavorato e coltivato dai bambini stessi), a momenti di svago (gironzoliamo a piedi per conoscer e i dintorni, il villaggio di Antanifisaka con le sue due chiese: una protestante, l’altra cattolica; visita ad Antambolo… beh, qui più che un momento di svago, si sarebbe dovuto trattare di una vera e propria missione “punitiva”, si fa per dire, per manifestare il nostro dissenso al Sindaco del villaggio che, dopo due anni dalla fine dei lavori, non ha ancora aperto l’ospedale del Paese).
Quello che maggiormente mi ha colpito di Antanifisaka è l’ambiente tranquillo e semplice, complice la natura incontaminata, in cui vive la gente. I bambini, in particolare, hanno qualcosa di diverso e di speciale nello sguardo, una serenità che invita a continuare a guardarli… e che contagia.
Ho notato che qui lo sguardo ha un’importanza privilegiata: non comprendendoci bene con la lingua parlata, lo sguardo diventa “veicolo” di richieste, di curiosità: “Chi sei?”, “Cosa fai qui?”, “Perché siete così pallidi?” Da questi sguardi nascono risposte, poi, una volta superata l’iniziale timidezza, ecco che le loro piccole mani cercavano le nostre, allo sguardo si univa il sorriso, ed a questo, l’abbraccio!
E una profonda sensazione di gioia, serenità e pienezza mi ha riempito il cuore…
E pensavo a quanto sarebbe facile incontrarsi, anche tra popoli lontani, tra culture diverse, se solo ci fosse la voglia e la disponibilità a conoscersi veramente, la gioia di ascoltarsi, l’urgenza di amarsi, di far diventare l’altro una parte della propria vita, del proprio cuore…
Sì, c’è qualcosa di diverso e di bellissimo nello sguardo dei bambini di Antanifisaka!
Seconda lacrimuccia!
Per te Sandra”
Sonia