Dopo Karangasso, il mio viaggio in Mali è proseguito per Sangha…paesi Dogon. Visitando questi villaggi non si può non rimanere affascinati dal paesaggio e dalla cultura di questo popolo.
Un paesaggio roccioso, enormi pezzi massicci e lastre di roccia rossa, avvolte anche nera, che si uniscono creando delle forme particolari che lasciano stupefatti. Percorrendo il pendio roccioso, della famosa falesia, troviamo le case dei Tellem, costruite nelle fessure orizzontali della roccia, l’unico modo per arrivarci è arrampicarsi con delle corde. I Tallem sono stati sconfitti dai Dogon.
I Dogon hanno preso possesso della zona e si sono costruiti i villaggi ai piedi della falesia, ma mantenendo le case dei Tallem nella roccia, che utilizzano come depositi per il miglio o come luoghi di sepoltura.
Dall’alto della falesia è faticoso distinguere i villaggi ai piedi di questo monte roccioso, le case in terra sono un tutt’uno con quello che li circonda ma possiamo notare i tetti dei granai in paglia e a forma di cono, gli enormi Baobab e la piana di terra mista a sabbia rossa che ad un certo punto viene interrotta da una alta duna di sabbia e qualche albero che si estende per tutta la lunghezza della falesia.
Inoltrandoci all’interno dei villaggi abbiamo notato come la gente viva la vita di tutti i giorni mantenendo intatte cultura e usanze, senza avere avuto forti condizionamenti dal passaggio di turisti, ma approfittando di questi per farne una piccola fonte di reddito, chiedendo soldi per uno scatto fotografico ad esempio. I bambini oltre a chiedere una monetina chiedono un pallone, una biro…
Una cosa che mi è piaciuta molto, e che potrebbe servire tanto anche a noi occidentali, è la casa della parola, chiamata togu-nà, si trova in ogni villaggio. È un posto dove un comitato di soli uomini, presidiato dal capo villaggio, nonchè sacerdote chiamato Hogon, il quale ha un ruolo molto importante all’interno della comunità, si riunisce per discutere problemi e per prendere decisioni. La particolarità di questo luogo di incontro è la sua forma rettangolare con un tetto in paglia di miglio raggruppato in otto mazzi sorretto da otto pilastri in legno, scolpiti con figure di tartaruga, coccodrillo e il seno, quest’ultimo è rappresentato ovunque perché dopo Dio c’è il seno…questi sono simboli di vita per i Dogon. La struttura è molto bassa, ci si può stare solo da seduti, quindi è sconsigliabile arrabbiarsi e alzarsi di scatto perché si prenderebbe una gran botta in testa, quindi naturalmente punito, di conseguenza espulso dalla riunione e riammesso solo se si è chiesto scusa pubblicamente pagando anche una somma al comitato. Il numero otto lo si ritrova spesso nella vita dei Dogon, perché si dice che gli antenati scesi sulla terra erano otto, quattro uomini e quatto donne e da loro è nato tutto!
Le donne Dogon, non vanno in motorino come nella capitale, anzi! Quando sono nel periodo mestruale per cinque giorni si devono trasferire in una casa del villaggio, ideata solo per questo motivo, solo i bambini piccoli possono restare con loro. Queste donne sono delle coltivatrici di cipolle, che sembra essere l’unico prodotto commercializzato in grandi quantità, tanto da esportarlo. La cipolla viene essiccata al sole e ne fanno delle palline così si mantiene senza problemi, è stupefacente vedere come siano riuscite a coltivare in un ambiente così arrido e roccioso!
La settimana dei Dogon è composta da 5 giorni, giorni riconosciuti dallo svolgersi del mercato in villaggi diversi. Nelle scuole la settimana è comunemente di sette giorni.
Riporto un trafiletto che ho letto sui Dogon, che mi è piaciuto molto….i Dogon vedono il mondo come una cosa unica dove convivono in armonia il mondo delle cose, degli animali e degli uomini; dove l’uomo non è il padrone assoluto ma un elemento che come gli altri partecipa al mondo.
L’ultima parte del viaggio ve la racconto la prossima volta!
A presto!
Sandra