Tramite Enzo e Laura della Rischilpi siamo venuti a conoscenza di P. Luigi Paggi (Missionari Saveriani) e dell'attività missionaria verso i Munda che lui esegue da più di 7 anni.
Chi sono i Munda?
Sono una minoranza tra le più discriminate: perché “fuori” dal sistema delle caste, per il colore della pelle; “il nero è considerato brutto e squalificante”. Come altri tribali, sono sempre stati disprezzati anche per le abitudini alimentari.
Lo status di non-persone è confermato dall’appellativo usato anche dagli organi di stampa o nei documenti ufficiali per riferirsi a loro. Li chiamano “buno”, cioè selvaggi, o “upojati”, cioè sottorazza. Una condizione peggiore di quella degli stessi fuori casta. Che, pur confinati sullo scalino più basso e considerati impuri, fanno comunque parte della società.
Da nullatenenti divennero proprietari terrieri. Gli inglesi, contestualmente, emanarono una legge che vietava ai non munda di acquistare proprietà dei munda. Era una misura cautelativa per evitare che questi tribali, ingenui, analfabeti e inclini a scegliere l’uovo oggi piuttosto che la gallina domani, si facessero gabbare. Ma i musulmani e gli indù escogitarono ben presto un sistema per mettere le mani sulle loro terre. Li convinsero a cambiare cognome, ad assumerne uno che, mimetizzando le origini, facilitasse la loro integrazione. In particolare, suggerirono il cognome Shardar, comune a indù e musulmani. E, in cambio di somme ridicole, riuscirono ad acquistare le terre che volevano. I Munda si trovarono così sradicati, con cognomi posticci e padroni di nulla. Privati anche dell’identità etnica e religiosa. Furono, infatti, classificati, come indù di bassa casta e, nonostante avessero una propria religione animista, fu loro imposto l’induismo. Non ci fu una persecuzione contro di loro. Almeno, non nel senso corrente del termine. Ma furono create le condizioni che li portarono a un inevitabile declino numerico e culturale.
Il lavoro di P Luigi Paggi, in questi anni, è consistito, soprattutto, nell’aiutare queste persone a (ri)trovare la consapevolezza della propria storia, a (ri)scoprire una sorta di “orgoglio munda”.
E nella realizzazione di diversi progetti come quello della costruzione di case per 35 famiglie , vittime del ciclone AILA. Senza chiedere conversioni in cambio. |